(articolo comparso per la prima volta su “Scritture” di Marco Ercolani a questo link
LA PAUSA-SIGARETTA. Marco Sbrana – Scritture)

Coffee and Cigarettes (2003) di Jim Jarmusch va forse rivisto fino a conoscerne le battute a memoria perché sia reso possibile il districarsi tra i vari cortometraggi che lo compongono in cerca di un motivo ricorrente che ne giustifichi l’apparente gratuità.
I corti sono undici; autoconclusivi, attori diversi, diverse le storie. Le location, pure, si assomigliano, perché i protagonisti eseguono la stessa azione in tutti e undici i cortometraggi: accompagnano sigarette a tazze di caffè.
Il primo corto, con protagonista Roberto Benigni e Steven Wright, semina i leitmotiv che ritroveremo nel corso del testo: lo scambio di persona; l’alienazione; il senso che la vita si stia svolgendo in un luogo che non è quello in cui ci troviamo. Dopo una conversazione assurda tra i due personaggi sull’apparente capacità del caffè di “accelerare i sogni” che, nello svolgersi, “vanno come a Indianapolis”, Wright denuncia il suo malcontento: non vuole andare dal dentista. Benigni, invece, ama andarci: lo sostituirà, andrà lui al suo posto. Tremanti per le decine di tazze di caffè che hanno ingurgitato e con il cuore a mille della ventesima sigaretta in mezz’ora, si separano, felici e contenti.
L’altro tema che ritroveremo è la mancata adesione alla vita, il divorzio che lamenterà il personaggio di Taylor nell’ultimo corto. Testo denso di simbolismo, opera aperta come sono tutte quelle di Jarmusch, la responsabilità quasi totale della decodifica, anche erronea, è dello spettatore. Questa mancata adesione alla vita si traduce con l’assenza di desiderio di vivere, che porta all’improbabile scambio di persona.
Nel corto Twins, la confusione identitaria è al massimo grado: la gemella dice di “odorare” del gemello che, a dire di lei, si è messo la sua camicia e le sue scarpe; dovrebbe trovarsi uno stile, anziché plagiarla. Naturalmente, scarpe e camicie sono identiche. Segue il corto con protagonisti Iggy Pop e Tom Waits (nei panni di loro stessi), che affronta il tema, collaterale a quelli che abbiamo delineato, della volontà, in un vivere che non ci piace, di perderci nella vita, di dissiparci. Perché la cosa bella, dice Tom Waits, di aver smesso col fumo è che, qualche volta, una sigaretta te la puoi fumare. Capiamo, noi spettatori dotti: né Iggy Pop né Tom Waits hanno interrotto il loro tabagismo. E si distruggono i polmoni fumando con gusto. Alla stessa stregua, i protagonisti del quarto corto. Il primo rimprovera al secondo di bere troppi caffè, ne morirà; l’altro, di fumare senza misura.
Esemplificativo è il cortometraggio numero cinque. Una donna bellissima beve caffè, poco zucchero, e sfoglia una rivista di armi e di motociclette. E qui il decodificatore che è in ogni pubblico comincia a chiedersi che testo stia leggendo. Cos’è Coffee and Cigarettes? Un momento di pausa dalla vita, un film su ciò che interrompe la vita, un film su ciò che accade mentre la vita – registicamente fuori campo – seguita senza di noi. Sicché la backstory della donna è lasciata solo all’intuizione, non viene approfondita. Perché non è importante. È importante solo che lei, da quella vita presumibilmente avventurosa, si sia presa una pausa, abbia scelto un pur breve divorzio. Così nel corto a seguire, dove è palpabile che i due protagonisti abbiano conti in sospeso, ma dove è chiarissimo che non abbia importanza.
Coffee and Cigarettes riesce a far avvertire il peso gravoso della vita che incombe, che circonda e che, una volta conclusa la pausa sigaretta, ricomincerà a divorarci. È un film sulla sospensione: si sospende il lavoro, si sospende il disprezzo (vedi il corto con Cate Blanchett in doppio ruolo), si sospende l’emozione per trarsi fuori dalla vita grama e aspettare, deputare foss’anche solo dieci minuti a un ozio che non include in sé la vita, che la vita la lascia fuori, così gravida di sofferenze indicibili, un ozio, una pausa che ci permetta di sputare parole vane, discorsi senza capo né coda, ma che pure costituiscono il grande discorso del mondo, e che la bobina di Tesla (introdotta nel corto numero otto e poi ripresa nel finale) non può ignorare, se davvero, come voleva il genio, la Terra è un conduttore di risonanza acustica. No, la bobina di Tesla, che il film simboleggia, non può ignorare l’inanità dei discorsi che sputiamo quando ci esautoriamo dal tessuto della vita che opprime.
E poi di nuovo scambi di persona negli episodi divertentissimi con Alfred Molina e Bill Murray, rispettivamente terzultimo e penultimo cortometraggio.
È solo a fortiori che si dà un senso a queste storie che come filo rosso (immediatamente ravvisabile) hanno le parole del titolo. E solo studiando il cortometraggio di chiusura.
Due vecchi operai. “Taylor”, chiede quello seduto a destra, “stai bene?”
“Non tanto. Mi sento divorziato dal mondo.”
E Taylor cita Mahler, il lied che dice: Del mondo ho perduto ogni traccia.
Coffee and cigarettes essendo un testo sull’alienazione, propone, in quest’ultimo, triste, episodio, un modo per risolvere il divorzio (Camus, Sartre): porci noi come bobina di Tesla e, nel soffocante vociare del mondo, essere ricettori anche della musica che il mondo emette. Ma è bastevole questo sforzo per salvarci? Pare di no, perché i due vecchi operai sono costretti a fingere che lo squallido caffè (in bicchieri di plastica) sia champagne, per tollerare una pausa troppo breve. Perché la pausa è ambigua per natura: se, da un lato, ci esime da una vita “tristi come chi deve”, dall’altro ci esime dai piaceri che la vita dà. L’alienazione è connaturata all’individuo postmoderno della società tardoindustriale, non vi sfugge mai; ma quando l’alienazione diventa scelta per sopperire alle mancanze? Quando, a fronte delle orribili carenze dell’esistere, ci chiamiamo fuori dalla vita, che ne è di noi? I due operai brindano con lo champagne immaginato e, dopo che il lied di Mahler ha risuonato nello spazio, provenendo, ovviamente, da un campo non inquadrato (mai altro filma Jarmusch che lo spazio necessario a riprendere i caffè e le sigarette), Taylor chiede di essere svegliato non appena la pausa finirà. Ma ha solo due minuti per dormire, gli dice l’altro. Taylor, pure, non lo sente: ché dorme di già.
E, ora, le notizie è la voce fuori campo che chiude il film e dà avvio ai titoli di coda. Rumore ronzante di radio. La vita non è cessata, malgrado gli sforzi che i personaggi hanno fatto per accomiatarsene. Il mondo ha seguitato la sua corsa con noi dislocati. La vita era altrove e succedeva mentre bevevamo caffè e fumavamo sigarette, nel limbo alienati, incerti se essere agenti nel mondo o soggetti passivi di una vita che, il regista di Solo gli amanti sopravvivono lo sa, è troppo complicata, troppo dolorosa, una vita che è troppo.



